Camera Confederale del Lavoro CGIL di Firenze (s.d.)

Tipologia: Ente

Tipologia ente: Partito politico, organizzazione sindacale

Altre denominazioni: CCdL CGIL Firenze

La Camera del Lavoro di Firenze venne fondata nel 1893, e la sua creazione fu sollecitata da una lettera che Osvaldo Gnocchi Viani indirizzò alle associazioni e agli operai fiorentini ( 9 ottobre 1892). (“Una lettera di Osvaldo Gnocchi-Viani alle Associazioni Operaie Fiorentine intorno alla Camera del Lavoro”. - [s.l.]: (Tipografia Meazzi), 1892.
La lettera, pubblicata a stampa, creò l’interesse e le condizioni necessarie affinché, su proposta della Camera di commercio di Firenze iniziasse il percorso che portò alla nascita della Camera del lavoro di Firenze (CdL Firenze).
Il 26 febbraio 1893, venne convocata un’assemblea generale, nel salone della Camera di commercio, alla quale furono invitati i rappresentanti di 49 Associazioni operaie, di queste 45 furono presenti e parteciparono ai lavori.
L’iniziativa venne fatta propria dai delegati presenti all’assemblea che modificarono ampiamente la bozza di statuto predisposto dalla Camera di Commercio, esautorando quasi completamente dai lavori sia la struttura Camerale che il Comune di Firenze, che aveva co-promosso l’iniziativa.
Ci furono, tra l’altro, aspre discussioni sull’articolo 4 che stabiliva chi si poteva iscrivere alla Camera del Lavoro, se “organizzazioni operaie” , formate cioè da soli operai, o individualmente operai e lavoratori che poi sarebbero stati assegnati alle varie sezioni.
Dopo alcune votazioni contraddittorie venne trovata una soluzione mediana che statuiva: “possono essere ascritti alla Camera del lavoro tutti gli operai che ricevono un salario, tutti i lavoratori a stipendio e tutti coloro che, pur non ricevendo né stipendio né salario possono provare di essere lavoratori e di non avere alle loro dipendenze altri lavoratori”; Così il 12 marzo venne finalmente approvato lo statuto ed eletta una Commissione provvisoria dove figuravano: Antonio Conti presidente, Adamo Zocchi segretario, Sebastiano Del Buono vicesegretario, Enrico Cecioni cassiere.
La sede provvisoria fu posta presso l’associazione dei Tipografi, in vicolo de Cerchi 1, in attesa che il comune assegnasse alla Camera del Lavoro una sede adeguata. Nel maggio 1893 avevano aderito alla Camera del lavoro oltre 200 tipografi, 70 sarti e numerosi (ma numericamente non specificati) doratori, verniciatori, scalpellini, falegnami, impiegati, ecc. Alla fine del 1893 gli iscritti ammontavano a un totale di circa 2000 soci.
Nel giugno il Comune di Firenze assegnò una sede provvisoria alla CdL fiorentina in piazza degli
Agli 2 (attuale slargo di via Teatina).
Alla fine del 1894, la CdL contava già 40 sezioni e oltre 5000 soci (“La nascita della Camera del Lavoro di Firenze” di Zefiro Ciuffoletti , in “E’ il primo maggio: aprite” pp. 12-14).
Nel Consiglio comunale del 12 marzo 1894, oltre all’uso di un locale, venne discussa anche la concessione di un sussidio comunale alla Camera del lavoro, che venne quantificato in 2.000 lire, con la clausola che, se non fosse concessa una sede del comune il sussidio sarebbe incrementato di ulteriori 1.000 lire per consentire di locarne uno. Il 1. Maggio del 1894 veniva inaugurata la sede concessa dal Comune in Piazza Strozzi dove tra l’altro venne aperto un ufficio di collocamento per i lavoratori di tutte le sezioni che si affiancò a quello istituito, fin dalla creazione della Camera del lavoro, dalla sezione dei cuochi e camerieri.
La Camera del lavoro nei primi anni di attività svolse, tra l’altro, una intensa opera di mediazione in numerosi conflitti di lavoro, celebre quello delle trecciaiole del 1896.
C’è da dire che l’attività della Camera del lavoro venne bruscamente interrotta, ad appena un lustro dalla nascita, nel 1898, quando venne decretato lo stato d’assedio per i tumulti seguiti al rincaro del pane e furono chiuse tutte le associazioni politiche e sociali che il prefetto, a torto o a ragione, ritenne responsabili dei disordini.
Anche la Camera del lavoro subì questa sorte e venne chiusa, tutti i materiali furono sequestrati e i locali messi a soqquadro e sigillati. In questa occasione, tra gli altri materiali, furono sequestrati 431 libri e opuscoli (la sala di lettura era stata aperta fin dal 1894 insieme a una scuola popolare, peculiarità della nostra CdL che unica in Italia veniva definita “intellettuale” ). Venne fracassata a bastonate la statua di Michele di Lando, capo del moto dei Ciompi, opera in terracotta donata dallo scultore Romeo Pazzini, posta nella Camera del lavoro che in quel momento aveva la sua sede in via delle Terme n. 19 (Verbale [Ordinanza di scioglimento della Camera del Lavoro di Firenze e sequestro dei materiali : 12 maggio 1898]. - [s.l.] : [s.n.], [1898]. - [3] c. ; 30 cm.).
Seguì lo strascico giudiziario con le relative condanne, solo nel dicembre del 1900 si potè riaprire la Camera del lavoro che, provvisoriamente, ebbe sede in Piazza S. Maria Novella 5, per trasferirsi di li a poco in Corso dei Tintori dove rimase, almeno, fino al 1924 quando i fascisti la ri-devastarono.
L’attività politico-sindacale della Camera del lavoro per i primi anni di attività (1893-1910) è stata ampiamente ricostruita (Nicla Capitini Maccabruni “la Camera del lavoro nella vita politica e amministrativa fiorentina (dalle origini al 1900)” e “Liberali, socialisti e Camera del lavoro a Firenze nell’età giolittiana, (1900-1914)” . – Firenze : Leo S. Olschki, 1965 ; 1990.) (vedi per tutti l’ottimo lavoro della Capitini Maccabruni).
Per l’aspetto meramente quantitativo della partecipazione dei lavoratori a questa istituzione rimandiamo ai dati numerici forniti con il tesseramento alla CdL fiorentina dal 1904 fino al 1918 anche se con dati non sempre omogenei (Calogero Governali “Tesseramento della Camera del lavoro di Firenze 1904-1918” . Firenze : [s.n.], 2007. Vedi anche “CGIL : le sedi : le rosse architetture” di Luigi Martini. - Roma : Ediesse, 2010. pp.143-163).
Facciamo qui solo alcune considerazioni di carattere più “generali” sui dati dei tesserati; I lavoratori aderenti alla CdL furono inquadrati in sindacati, leghe e sezioni sia per la città di Firenze sia per il circondario e la provincia, queste ultime, denominate “Sezioni di campagna”. Fanno parte delle “sezioni di campagna” anche sezioni che rispecchiano i vecchi confini comunali e che oggi fanno parte integrante del territorio comunale di Firenze (Brozzi, Peretola, Ponte a Greve, Galluzzo, ecc.). I dati del tesseramento per gli anni dal 1904 al 1911 dà la composizione dettagliata delle sezioni provinciali, mentre dal 1912 al 1918 è disponibile solamente il totale complessivo. L’altra suddivisione è tra lavoratori e lavoratrici anche se non sempre il dato è esplicitamente riportato. La quota annuale pagata dai soci iscritti era di lire 0,50; Per alcune sezioni (Ferrovieri, Federazione del libro, Leghe riunite di Signa) e per le lavoratrici questa quota era di lire 0,25. Le quote degli iscritti rappresentavano la fonte principale di finanziamento della Camera del lavoro insieme al contributo comunale che dal 1908 viene fissato in lire 6.000 annuali.
Questo finanziamento “obbliga” la CdL a comunicare al Comune i dati dell’attività d’esercizio che sono poi inseriti nell’”Annuario statistico del Comune” dal quale abbiamo tratto i dati (Annuario statistico del Comune di Firenze. – Firenze : Tip. Barbera Alfani e Venturi, 1905-1921).
C’è da segnalare che la presenza di molte leghe e sezioni è episodica, non prolungata nel tempo, legata a fatti contingenti e a lotte e vertenze particolari, che una volta concluse, vedono quasi del
tutto sparire i soci tesserati.
Questo fatto, insieme alla rilevanza numerica non grandissima (rispetto ai dati dal 1945 in poi), rende i dati molto variabili di anno in anno, anche se si evidenziano due tendenze generali di mediolungo periodo.
La prima è la progressiva crescita dei lavoratori delle sezioni di campagna a partire dal dato minimo del 4,7% degli iscritti fino ad attestarsi ad oltre un terzo dei tesserati, con una punta massima del 47,6% nel 1911.
L’altra tendenza generale è l’incremento dei tesserati dal 1904 al 1911 e la stabilizzazione fino allo scoppio della Prima guerra mondiale. L’adesione diminuisce nei primi anni del conflitto (dal 1914 al 1916) mentre si assiste ad una ripresa, alla fine della guerra.
Il paese esce esausto dal conflitto mondiale, oltre ai morti e ai mutilati c’è il profondo malessere economico-sociale degli strati operai che congedati erano esposti agli enormi rincari dei prezzi e
alla disoccupazione, o nel migliore dei casi, alla precarietà del lavoro. Precarietà dovuta alla cessazione delle commesse militari all’industria, che ora doveva pensare a riconvertire la produzione da bellica a civile, cosa non sempre facile. Questo malessere era il sintomo dell’esigenza grandissima di riscatto dei ceti popolari che avevano combattuto e sofferto e che ora chiedevano condizioni di vita più umane e civili e che certamente non potevano accondiscendere ad un mero ritorno alle condizioni di vita ante guerra o ad un loro peggioramento. Giusta aspirazione che di li a poco sarebbe sfociata in quel poderoso movimento di lotta che va sotto il nome di “biennio rosso” che fece esplodere numericamente l’adesione alla CdL. La reazione a tale movimento di lotta vide nascere ed affermarsi il movimento fascista che, nel volgere di un triennio, con la collusione e la protezione delle forze più conservatrici della società italiana e con l’uso spregiudicato delle sue squadre paramilitari si appropriò del potere divenendo nel volgere di pochi anni un regime dittatoriale.
Come tutte le associazioni “democratiche” i partiti e i sindacati furono le organizzazioni contro cui si diresse la violenza reazionaria divenendo oggetto di devastazioni, o di provvedimenti di scioglimento d’imperio ; anche la Camera del lavoro fiorentina subisce, nonostante la resistenza operaia, questa sorte. Nei duri scontri susseguiti all’attentato di Piazza Ottaviani e al successivo omicidio di Spartaco Lavagnini, dal 27 febbraio al 1. Marzo 1921, si vissero a Firenze giorni di violenza inaudita. Oltre agli scontri in provincia (Empoli, Scandicci, ecc.) a Firenze gli scontri più duri avvennero nell’oltrarno (S. Frediano, piazza Tasso) e nel quartiere di S. Croce. Nel quadrilatero delimitato da via Ghibellina, l’Arno, via dei Benci e i viali, vi furono scontri e barricate e la resistenza popolare fu vinta dopo cinque ore di vera e propria battaglia e grazie all’impiego di autoblinde da parte della polizia e dell’esercito.
Alla fine la polizia che presidiava la sede della Camera del lavoro lasciarono che i fascisti entrassero nell’edificio dove “distrussero e depredarono tutto cassaforte compresa”. L’attività della Camera del Lavoro riprende, (vedi l’articolo su “La Difesa” n. 46 del 15 ottobre 1921), anche se probabilmente, in un primo tempo, l’attività sarà stata piuttosto stentata anche per il veloce affermarsi del regime fascista.
I dati che abbiamo ci dicono che ancora nell’aprile 1922, l’adesione alla CdL era significativa, infatti alle elezioni camerali si contavano 28.428 iscritti (dei quali 22.556 votarono la lista socialista e 5.872 quella comunista) ed ha ancora la forza di proclamare lo sciopero dei 5.500 edili della provincia contro la proposta degli impresari di ridurre il salario (8 maggio 1922). A tutt’oggi non sappiamo con certezza la data precisa della cessazione completa dell’attività e della chiusura della sede camerale che potrebbe essere il marzo 1924 quando i fascisti rioccuparono la sede di Corso dei Tintori con esiti certamente devastanti.
Nel 1925 il Patto di Palazzo Vidoni ( 2 ottobre) determinò i presupposti per dare il monopolio della rappresentanza sindacale ai sindacati fascisti. Si chiude con questo epilogo l’attività della CdL fiorentina, passeranno circa 20 anni prima che venga ricostituita e riaperta, dopo la caduta del regime fascista. La documentazione della Camera del lavoro di Firenze, analogamente a quella di tutte le altre strutture sindacali, dalla loro nascita alla instaurazione del fascismo è andata completamente perduta per il saccheggio e la distruzione delle sedi sindacali e politiche operata metodicamente dal regime fascista. Anche la documentazione dei sindacati fascisti è andata, quasi completamente, perduta (o per volontaria distruzione da parte dei funzionari fascisti per nascondere comportamenti compromettenti o per le distruzioni belliche e qualche volta per una malintesa rivalsa di chi aveva patito le violenze fasciste).

Già durante gli ultimi anni del regime fascista e con la lotta di Resistenza i partiti politici e le forze
sindacali si andavano riorganizzando e si preparavano a soppiantare il nefasto regime.
Non appena Liberata Firenze (11 agosto 1944) le Commissioni sindacali provvisorie indicono una riunione dei propri segretari per ricostituire la Camera del lavoro di Firenze La prima sede della rinata Camera del Lavoro unitaria, venne insediata in una parte dei locali di Palazzo Panciatichi, in via Cavour n. 2. (“La Camera del lavoro di Firenze : cronologia del secondo dopoguerra, (1944-1969)” di Fabio Bertini, contenuto in: “La Camera del Lavoro di Firenze : dalla liberazione agli anni settanta”, a cura di Zeffiro Ciuffoletti, Mario G. Rossi, Angelo Varni, p. 323. La riunione delle Commissioni sindacali provvisorie si tenne presso la sede dei Poligrafici in via Bufalini, il 17-18 settembre 1944, l’insediamento nella sede di via Cavour n.2 avviene poco dopo il 27 settembre).
Dopo una riunione dei quadri sindacali (12 di ottobre) che ratifica la nascita e l’organizzazione della CdL su tre sezioni (agricoltura, industria e commercio) inizia una intensa attività di contrattazione e di interventi per cercare di porre rimedio ai più immediati bisogni dei lavoratori e dei cittadini in una città che soffriva i lutti e le devastazioni materiali e morali della guerra. La ricostituzione dell’organizzazione sindacale unitaria derivante dal Patto di Roma consentirono una rapida ripresa dell’attività e di affrontare e fronteggiare i problemi più gravi. Da un verbale della Segreteria della Camera del lavoro di Firenze del 1. novembre 1944 sappiamo che già a quella data erano state ricostituite e risultavano funzionanti le Camere del lavoro a Borgo S. Lorenzo, Prato, S. Casciano V.P., Figline e Pontassieve. Su queste Camere del lavoro (CdL) i componenti la segreteria di Firenze si apprestavano a compiere delle periodiche ispezioni per valutarne funzionamento ed organizzazione (Archivio Federterra Toscana, b. 4, f. 5 XI, cc. 16-18;). dalla disoccupazione, dovuta alle distruzioni belliche degli insediamenti produttivi, alla scarsità dei generi alimentari dovute sia alla guerra che alle razzie tedesche, dalle disastrose condizioni della viabilità e dei trasporti, alla carenza di alloggi, dall’inflazione al carovita galoppante, ecc.
Vennero ricostituite le leghe e i sindacati di categoria, dei lavoratori agricoli, dei trasporti, degli alimentaristi, degli edili, dei chimici, dei vetrai, dei ceramisti e affini, dei metalmeccanici ecc. Tra i problemi più urgenti affrontati dal sindacato vi era sicuramente quello di riattivare il tessuto produttivo e attraverso i cantieri per la ricostruzione riassorbire una certa quota di disoccupati. Dal 28 gennaio al 1. febbraio 1945 si tenne a Napoli il primo Congresso delle organizzazioni sindacali della Cgil dell’Italia liberata che a quella data vedeva ancora tutto il nord Italia sotto la dittatura nazifascista.
Infatti è solo il 25 aprile 1945, giorno della liberazione, che tutto il territorio nazionale torna alla libertà. L’attività sindacale del rimanente scorcio del 1945 e il 1946 servono ad avviare a livello nazionale la discussione sui temi economici, sociali ed organizzativi che saranno affrontati nel primo Congresso nazionale unitario della Cgil che si terrà a Firenze dal 1. al 7 giugno 1947. I problemi economici generali insieme a quelli organizzativi della Camera del lavoro e dei sindacati in essa rappresentati sono i filoni su cui si sviluppa, prevalentemente, l’attività dei primi anni. Nella sede di via Cavour la Camera del Lavoro rimase poco più di un anno e mezzo, infatti, il 20 aprile del 1946 si trasferisce, a poche centinaia di metri, in via dei Servi 15, dove si trova la nuova sede (Palazzo Niccolini-Montauto).
Questa sede vide consolidarsi e rafforzarsi il ruolo della Cgil unitaria fino alle frizioni successive al primo congresso unitario del 1947 e alla rottura dell’unità sindacale del 1948. Vide poi svolgersi l’attività della CdL volta a controbattere la politica di contrapposizione frontale instaurata dalla politica centrista specchio di una divisione planetaria in blocchi. I rapporti tra le componenti costitutive della Cgil (comunista, socialista, cattolica) cominciano a mostrare dei problemi che si accentrano soprattutto nella stesura del nuovo statuto e sull’autonomia dai partiti politici. Il problema sarà acuito dalla divaricazione intervenuta tra i partiti politici dovuta alla scelta, fatta dalla Democrazia cristiana e dai suoi alleati, di estromettere dal Governo le forze di Sinistra; scelta determinata, in larga parte, dall’evoluzione geopolitica mondiale e dalla contrapposizione tra blocchi.
L’epilogo della rottura dell’unità, nel mondo sindacale, avviene con gli scioperi e le manifestazioni che seguono l’attentato a Togliatti (luglio 1948), ritenuto illegittimo dalla componente cattolico democristiana che dopo alcune settimane fuoriesce dalla CGIL.
Dalla sede di via dei Servi la CdL diresse le lotte per salvare pezzi importanti dell’industria e dell’economia provinciale, contrastando il disegno padronale di smobilitazione e di chiusura di importanti fabbriche (Pignone, Galileo, Richard Ginori, ecc.) che riconvertite grazie a quelle lotte sono ancora oggi importanti centri produttivi. In questa ampia sede confluivano in assemblea i lavoratori in lotta che si riunivano nell’ampio salone (o nell’ampio giardino che nella bella stagione fungeva anche da sala cinematografica all’aperto), per decidere sulle loro vertenze. In questo palazzo la Camera del lavoro rimase per circa nove anni, fino a quando, con l’acuirsi dello scontro politico-sociale, vengono sfrattate tutte le organizzazioni politiche, sindacali, sociali, che avevano in uso o in affitto locali e sedi in immobili “pubblici”.
Il tentativo del governo Scelba è apparentemente quello di recuperare dei beni dello Stato, spesso abusivamente occupati, ma in realtà aveva per scopo di indebolire e possibilmente debellare, attraverso l’improvvisa sottrazione delle sedi o la richiesta di esorbitanti canoni di affitto, le associazioni e le organizzazioni dell’area di opposizione governativa.
Il Ministero delle Finanze non solo rivendicava la proprietà statale degli immobili di tutte le organizzazioni dell’ex partito fascista, ma ne richiedeva “l’immediato rilascio”. Oltre a ciò il governo, rivendicava anche la proprietà degli immobili delle varie associazioni, riconducibili in qualche modo al regime fascista. Anche la Camera del lavoro è tra le organizzazioni a cui viene intimato lo sfratto, contro di esso la CdL mobilita i lavoratori e l’opinione pubblica e avvia un ricorso al tribunale di Firenze, che lo dichiara illegittimo (il 14 luglio 1954). Anche se la Camera del Lavoro aveva buone possibilità di vincere la partita contro il Ministero delle finanze (anche in presenza di un eventuale ricorso) viene deciso di lanciare una sottoscrizione per l’acquisto di una sede propria per svincolarsi da una situazione di incertezza e di possibile rischio.
È Di Vittorio in persona a lanciare un appello ai lavoratori fiorentini; l’appello del Segretario Generale della Cgil, diffuso in un volantino, dice: “Lo sfratto improvviso intimato dal governo alla vostra gloriosa Camera del lavoro, dopo una sentenza contraria del Tribunale e con metodi privi di ogni base legale costituisce un atto di violenza compiuto contro la enorme maggioranza dei lavoratori della vostra provincia” ...e conclude “Annientate le torbide illusioni delle classi privilegiate e reazionarie, raccogliendo rapidamente la somma necessaria per la nuova sede della Camera del Lavoro, che si erga in Firenze come la roccaforte inespugnabile dei diritti e degli ideali di libertà, di giustizia e di emancipazione sociale di tutti i lavoratori fiorentini” (“Appello di Di Vittorio ai lavoratori della provincia di Firenze”, (Firenze : Tip. Parenti, 1954), p. 4). I lavoratori fiorentini rispondono in maniera immediata ed encomiabile alla sottoscrizione, migliaia di contributi vengono versati in poco tempo, per un importo di 17 milioni; Una giornata di sciopero generale indetta per protestare contro il provvedimento di sfratto viene mutata in giornata di lavoro da destinare come contributo per l’acquisto della nuova Casa del Lavoratore.
Contadini e coltivatori che non possono contribuire in denaro partecipano alla sottoscrizione con prodotti agricoli che poi sono venduti ed il ricavato destinato allo scopo. In tal modo al 24 novembre erano stati raccolti 46 milioni cioè quasi la metà del costo totale dell’immobile.
La sede individuata (che viene acquistata con un contratto di vendita siglato il 13 novembre 1954) è palazzo Bourbon del Monte un palazzo nobiliare, di antichissima origine e carico di storia che diventa la casa comune dei lavoratori fiorentini e della loro principale organizzazione sindacale. Scelta o caso che sia, fanno si che, il palazzo acquistato per la nuova sede sorga a un centinaio di metri da quella sede di via dei Tintori dove sorse l’ultima sede della CdL fiorentina degli anni venti ultimo baluardo a cadere sotto l’assalto delle falangi fasciste. La scelta è doppiamente significativa perché da un lato ribadisce la volontà, dell’organizzazione camerale, di esercitare il suo compito di direzione dal cuore di uno dei quartieri più popolari di Firenze e dall’altra rappresenta una rivincita sulle forze più conservatrici della borghesia e della nobiltà cittadina dalla quale si acquisisce un millennario immobile per destinarlo a propria sede. L’acquisto del palazzo infatti rappresenterà in questa parte della società motivo di grandissima recriminazione e scandalo.
Il Palazzo sorge all’inizio di via Borgo dei Greci, poco distate da piazza S. Croce, e sorge con i contigui palazzi, sui resti dell’anfiteatro romano di Firenze che qui sorgeva e il cui perimetro è ancora leggibile, specie sul retro del palazzo, in Piazza dei Peruzzi e nelle stradine adiacenti (via Bentaccordi e via Torta) che con il loro andamento curvilineo disegnano ancora parte della cavea del cosiddetto Parlagio o Parlascio), (“Le sedi della Camera del lavoro di Firenze 1893-1954” a cura di Calogero Governali . - Firenze : Centro documentazione e Archivio storico CGIL Toscana , 2008).
La rottura dell’unità sindacale, del 1948, è un trauma che segna la storia sindacale fino alla metà degli anni sessanta quando le lotte del biennio 1968 e 1969 con la pressante richiesta di unità proveniente dalla base dei lavoratori, innescheranno la breve ed effimera stagione unitaria. Dalla metà degli anni ’50 iniziò un periodo di crescita economica che, accellerò nel decennio successivo, senza che però i lavoratori vedessero crescere il loro benessere e il loro ruolo sociale. Questo fatto determinò una stagione di lotte e di rivendicazioni culminate nel biennio 1968-1969 e l’affermarsi tra i lavoratori, pur di varia tendenza politica, d’una “unità d’intenti” che sfociò in una richiesta pressante d’unità d’azione per le Confederazioni sindacali. Infatti, i primi anni settanta furono caratterizzati da un fervore unitario che portò alla creazione di strutture territoriali e di categoria unitarie che operarono in maniera differenziata e con diversa convinzione.
Agli inizi degli anni ’70 l’unità sindacale dopo i convegni di Firenze 1 e 2 sembrava a portata di mano. Analogamente a quanto succedeva a livello nazionale, anche a Firenze e provincia vengono costituite le strutture territoriali del sindacato unitario. Unitariamente vengono impostate iniziative e varate piattaforme rivendicative sugli argomenti più sentiti del momento quali: la casa, la sanità, i trasporti, l’energia, la metanizzazione ecc.. Sotto questi buoni auspici nel luglio del 1972, si celebra il Congresso straordinario costitutivo del nuovo sindacato unitario che prevede lo scioglimento delle Confederazioni.
Il percorso per dar vita al sindacato unitario, non fu mai attuato compiutamente, perché lo scioglimento delle confederazioni (CGIL, CISL, UIL) fu dapprima rinviato e queste continuarono ad operare accanto alle strutture unitarie. Quando cominciarono a nascere differenziazioni di impostazione strategica tra le varie componenti sindacali le Confederazioni iniziarono ad esautorare le strutture unitarie fino al loro pratico svuotamento. L’apice di questo percorso di “ripensamento” dell’unità sindacale si ebbe con le differenti posizioni sindacali sul taglio degli scatti di scala mobile operati nel 1984 dal Governo Craxi.
In seguito allo sviluppo dell’attività sindacale degli anni ’70 e all’istituzione delle Regioni a statuto ordinario l’organizzazione sindacale sente il bisogno di adeguare le proprie strutture ai mutamenti istituzionali. Assistiamo così, intorno alla metà degli anni ’70, alla nascita delle strutture sindacali regionali e successivamente (1977) all’istituzione dei comprensori. Queste strutture vengono create disaggregando le Province in zone omogenee, chiamate appunto “Comprensori”, a loro volta suddivisi in zone. Una prima ipotesi (1977) prevedeva per la CGIL Toscana la creazione di 22 comprensori ridotti poi a 14 (1980). Il varo del rinnovamento organizzativo unitario avviene dopo la Conferenza di Montesilvano del 5-7 novembre 1979 e formalmente avviene dopo la tornata Congressuale del 1981. Dal sindacato provinciale di Firenze viene scorporato tutto il Comprensorio pratese e una parte del Comprensorio del Valdarno, formato con il concorso anche di alcuni comuni della provincia di Arezzo.
La nuova organizzazione mostra dei limiti, acuiti dalla crisi economica e sociale e dalle prime avvisaglie di una minore rappresentatività sindacale, acuitasi dopo le vicende del taglio della scala mobile e la condivisione sindacale delle prime forme concertative di politica economica.
Non tutti i Comprensori hanno un’attività duratura il comprensorio dell’Amiata è il primo a cessare di funzionare nel 1985, quello della Versilia giunge fino al 1994, gli unici che funzionano fino allo scioglimento dei comprensori (2002) e il ritorno alla suddivisione per province sono quelli di Piombino-Val di Cornia, quello del Valdarno, e quello Pratese. Quest’ultimo è l’unico che permane ancora oggi essendo stata nel frattempo istituita la provincia di Prato. I comprensori si articolano al loro interno in Zone Congressuali, con proprie strutture elette in appositi congressi di zona. Nel comprensorio fiorentino vi erano le zone: Empolese, Valdelsa, Mugello, Chianti, Val di Sieve e quelli di Firenze (Sud-est, Centro-nord) e dei comuni limitrofi (Scandicci-Le Signe, Sesto-Campi- Calenzano, ecc.).
Le zone sono in qualche caso accorpate come nel caso di quella della Val di Sieve, trasformata successivamente in Zona Mugello-Val di Sieve, che sarà sciolta nel 2002 (come zona Congressuale) in concomitanza con la cessazione della suddivisione per Comprensori. Successivamente le ex Zone Congressuali fiorentine ritornano ad essere semplici articolazioni territoriali della Camera del lavoro Metropolitana di Firenze, che ne nomina i segretari, ma, in larga parte, questa digressione organizzativa esce fuori dagli estremi cronologici della documentazione del nostro archivio, che si ferma intorno alla metà degli anni ’90.
La trasformazione socio-economica del territorio subito dopo la seconda guerra mondiale il territorio era caratterizzato da un’economia cittadina di tipo industriale e commerciale mentre i comuni limitrofi avevano prevalentemente un’economia di tipo agricolo con una consolidata presenza dei contratti mezzadrili che vedevano intere famiglie lavorare – spesso da generazioni – nelle stesse fattorie.
A questa si affiancavano spesso attività collaterali di tipo artigianale o di piccola impresa legate alla trasformazione dei prodotti agricoli. Dalla fine degli anni cinquanta si assiste alla nascita di un tessuto di piccole e medie industrie in vari settori merceologici che, in diversi casi, riescono ad ingrandirsi ed affermarsi economicamente. Accanto a produzioni tradizionali legate alla trasformazione dei prodotti agricoli (vetrerie, fiaschetterie, ecc.) e all’attività edilizia (fornaci, cementerie, ecc.) si imposero realtà appartenenti ad altri settori, come quelli della produzione metalmeccanica, chimica, dell’abbigliamento, della pelletteria ed altri ancora.
Per Firenze gli anni Sessanta rappresentano anni di notevole sviluppo e di trasformazione economico produttiva. Si assiste alla creazione di un ampio settore industriale di piccola e media impresa anche nei comuni contigui che vengono interessati anche dal fenomeno dell’inurbanamento conosciuto come ‘fuga dalle campagne’ – soprattutto dei giovani. Nel settore agricolo rimanevano soltanto le persone più anziane e a volte anche questi si trasformavano in operai occupati in attività industriali o artigianali che coltivavano qualche piccolo appezzamento di terra nel tempo libero e nei fine settimana.
Entra comunque in crisi la secolare conduzione a mezzadria che nelle aziende più grandi ed importanti si trasforma in conduzione agraria diretta con braccianti e salariati. Gli anni ’60 e parte dei ’70 grazie ad una congiuntura economica favorevole permise di assorbire facilmente la manodopera che abbandonava il lavoro agricolo nel settore industriale in rapida crescita economica.
Questo è vero specialmente per alcuni settori che si svilupparono grandemente (pelletteria, ceramica, abbigliamento-moda, calzaturiero, metalmeccanico chimico-farmaceutico, ecc.) e dal settore edilizio determinato in parte dall’inurbamento della popolazione che richiedeva nuove abitazioni e più confortevoli. Ma già dai primi anni ’70 la crescita economica iniziò a rallentare per poi arrestarsi ed entrare in recessione sia per fenomeni nazionali (inflazione, carovita, ecc. ) sia per fattori internazionali (guerre, shock energetico, ecc.).
Infatti in seguito alla guerra arabo israeliana del 1973, gli stati arabi produttori di petrolio si accordarono per un contingentamento nella produzione petrolifera per punire i paesi che sostenevano lo stato di Israele e la sua politica militare. Questo determinò nei paesi importatori di energia, come il nostro, una grave crisi economic opolitica per la difficoltà di approvvigionamento energetico e diede inizio ad una grave spirale inflazionistica determinata dai rincari petroliferi (il barile di greggio passo da circa 3 ad 11 dollari dell’epoca nel giro di pochissimo tempo). La crisi toccò anche il territorio di nostro interesse dove molte aziende decisero di ridurre drasticamente le loro attività, determinando una grave crisi occupazionale. Superata questa crisi, diversificando il consumo energetico, riducendo gli sprechi ma sopratutto con la scoperta e l’entrata in produzione a livello internazionale di nuovi giacimenti petroliferi, l’economia si rimise in moto fino alla fine degli anni settanta quando la rivoluzione komeinista in Iran cacciò lo scià innescando una grave speculazione sul prezzo del petrolio che esplose con la seconda crisi energetica provocata stavolta dalla guerra interna al mondo arabo tra Iran e Irak che porto ad un triplicamento dei prezzi petroliferi.
A seguito di tale guerra si ruppe il cartello dell’Opec in quanto l’Arabia Saudita ed altri importanti paesi produttori si impegnarono ad incrementare l’estrazione del greggio riportandone il prezzo a livelli economicamente sostenibili.
Per l’Italia il periodo che và dal 1969 ai primi anni ’80 è un periodo politicamente molto delicato in cui la parte della società più retriva cerca di contrastare con ogni mezzo la richiesta di maggior giustizia sociale che si leva dal mondo del lavoro. Dalla strage di Piazza Fontana agli attentati ai treni e alle stazioni (Bologna, Italicus, ecc..) a quelli aerei (Ustica) agli attacchi a pacifici comizi (Brescia) è un crescendo di attentati terroristici. Tale violenza ha origini interne (ma è sostenuta da legami internazionali) che si legano ad ambienti parafascisti (golpe Borghese, Ordine nuovo, Nar, ecc. ) o a servizi cosidetti “deviati” (Sid) ad organizzazioni eversive (Rosa dei venti, Gladio, …) o a logge massoniche segrete (Loggia P 2, che includeva tra i suoi iscritti politici, militari, magistrati, industriali ecc. e anche l’ex presidente del consiglio nonchè attuale presidente del PdL Silvio
Berlusconi).
A questa successivamente si contrappose una risposta armata di tipo terroristico (diretta contro imprenditori, giornalisti, docenti universitari, funzionari di polizia e personalità politiche) proveniente da ambienti dell’estrema sinistra (Brigate Rosse, Nap, ecc.) che culminano con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.
L’instabilità politica (crisi del Centrosinistra, e della DC poi) danno l’avvio a compagini governative fragili che da una parte fanno lievitare il debito pubblico in maniera spropositata e dall’altra impongono misure di austerità dirette a comprimere nuovamente i diritti economici e normativi dei lavoratori (taglio della scala mobile, congelamento degli aumenti contrattuali ecc.) Il periodo che va dalla fine degli anni ’70 fino alla metà degli anni ’80 è segnato da ricorrenti crisi economiche e sociali. Specialmente alcune lavorazioni ad alto consumo energetico sono oggetto di riconversione produttiva che spesso si concludono con la chiusura delle unità produttive. Nella nostra zona il classico esempio è quello dei gruppi vetrari (Saivo, ecc.) e delle fonderie (Fonderia delle Cure) che entrano in una crisi irreversibile che porterà alla chiusura degli stabilimenti. Ma anche le industrie che non innovano i prodotti sono condannati alla chiusura (Superpila, meccanotessile della Galileo e della Billi, chimica di base gruppo Gover ecc.).
Gli anni novanta si aprono con l’implosione del sistema politico italiano basato sull’asse DC-PSI dovuto anche alle indagini della magistratura milanese contro la corruzione endemica e l’invadenza del malaffare politico. La scomparsa dei partiti politici e delle personalità che avevano retto le sorti del paese per decenni lasciano un vuoto che viene purtroppo colmato da movimenti e da partiti personali dediti a tutelare più che l’interesse generale gli interessi locali o personali. Questo vuoto progettuale della politica si associa alla terziarizzazione dell’economia con lo sviluppo del comparto commerciale e dei servizi, con una sostanziale tenuta del tessuto produttivo industriale. Dalla fine degli anni ’80 era in atto un impiego di capitali a fini speculativi (speculazione finanziaria, di posizioni oligopoliste, speculazione edilizio-fondiaria e delle rendite di posizione), piuttosto che ad investimenti produttivi. Questa tendenza si intensifica con la globalizzazione economica mondiale seguita al disfacimento dei regimi comunisti dei paesi dell’Europa dell’est.
I guasti profondi prodotti da una cieca speculazione sui valori immobiliari e la creazione di una enorme bolla di finanza speculativa legata a strumenti finanziari che spesso sconfinano nell’illecito o nella commistione con settori criminali ( tratta e sfruttamento di esseri umani, commercio di droghe, di armi, sfruttamento delle risorse naturali, ecc. ) hanno prodotto delle distorsioni enormi e concentrato la ricchezza tra una ristretta cerchia di persone che determina le sorti dell’umanità.
Questo ha prodotto a partire dall’inizio del millennio una situazione che si è andata aggravando sempre più e che a partire dal 2008 con la crisi immobiliare partita dagli USA ha prodotto una crisi sistemica devastante che per il nostro paese e per altri dell’Unione europea ha significato un arretramento economico e sociale di almeno 30-40 anni. Questo ha avuto gravi ricadute economico produttive ed occupazionali anche a Firenze e provincia dove si è assistito alle delocalizzazioni e alla chiusura di molti impianti produttivi. Anche il settore commerciale e dei servizi ha visto contrarsi significativamente la propria base produttiva.

Complessi archivistici

Compilatori

  • Prima redazione: Stefano Bartolini (direttore FVL)