Camera del lavoro CGIL Pontassieve (s.d.)

Tipologia: Ente

Tipologia ente: Partito politico, organizzazione sindacale

Altre denominazioni: CdL CGIL Pontassieve

Le prime notizie sul movimento operaio e il sindacato nella zona di Pontassieve sono legate all’attività organizzativa che la CdL fiorentina svolse a livello provinciale a partire dall’ultimo decennio del sec. XIX.
E’ proprio durante lo sciopero delle trecciaiole del 1896, e nel successivo intervento di mediazione che la CdL fiorentina svolse nell’occasione, che abbiamo notizie di una vertenza sindacale organizzata nella suddetta zona.
La mediazione della CdL fiorentina, tra le altre iniziative, prevedeva la costituzione di cooperative tra le lavoranti della paglia (trecciaiole) per affrancarle dall’intermediazione parassitaria dei fattorini. A somiglianza delle analoghe iniziative promosse nella provincia (Signa, Brozzi, ecc..), viene costituita la cooperativa delle trecciaiole di Pontassieve con 400 soci, quasi tutte donne.
Sicuramente l’organizzazione sindacale della zona risente, in modo rilevantissimo, delle vicissitudini e delle traversie della CdL fiorentina, da cui dipendeva, che dopo la proclamazione dello stato d’assedio del 1898, vide la forzata chiusura della sede, il sequestro di tutti i materiali, gli arresti e i processi per i suoi dirigenti. Questo determinò il bloccò di tutta l’attività sindacale fino a dicembre del 1900, quando la Camera del lavoro fiorentina riprese la sua attività.
Dopo un primo periodo di comprensibile difficoltà la Camera del lavoro riprese la sua attività e la sua espansione organizzandosi in sezioni di città e di campagna. Le sezioni di città erano le organizzazioni (sindacati e leghe) dei lavoratori residenti nella città o negli immediati sobborghi, le sezioni di campagna erano le organizzazioni della provincia o delle province limitrofe dove ancora non erano presenti Camere del lavoro. L’adesione al sindacato era comunque molto scarsa e molto variabile nel tempo, spesso l’organizzazione dei lavoratori nelle leghe era strumentale a vertenze di lavoro che una volta chiuse, positivamente o negativamente, vedevano anche il disimpegno e il crollo verticale dell’organizzazione sindacale (lega di mestiere).
Con questa tipologia organizzativa (città campagna ) abbiamo, fino al 1911, i dati quantitativi delle singole realtà territoriali, mentre dal 1912 al 1918, quando viene sostituita da una organizzazione unica per comparto produttivo, abbiamo disponibile il solo dato complessivo per tutta la provincia delle sezioni di campagna. Il progressivo disfacimento del nazifascismo e il ritorno alla democrazia nelle zone che man mano l’avanzata degli eserciti anglo-americani, delle ricostituite forze armate italiane e delle formazioni della Resistenza, liberavano, consentirono la riorganizzazione dell’attività politica e sindacale.
La zona del Valdarno rappresentava un’importante snodo per l’avanzata delle truppe alleate verso il nord ed è per questo che, a partire dal 9 novembre ‘43 e fino ai primi giorni del luglio ‘44, Pontassieve subì numerosi bombardamenti aerei. Le incursioni degli Alleati apportarono distruzioni e lutti tra la popolazione civile tra la quale si contarono 42 morti. A questi si aggiunsero altri 14 uomini che furono fucilati per rappresaglia dopo che, in un’incursione partigiana contro la GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) di Pontassieve, rimase ucciso un militare tedesco nei pressi di Pievecchia, poco a monte di Pontassieve. Solo il 21 agosto 1944 Pontassieve venne occupata dagli alleati e nel passaggio del fronte, non ostate la popolazione fosse sfollata nelle campagne vi furono altri innumerevoli lutti (49 caduti, e 97 feriti) tra la popolazione civile. I combattimenti oltre alle perdite umane provocarono gravissimi danni alle strutture produttive e l’interruzione delle principali vie di comunicazione. La ricostituzione dell’organizzazione sindacale unitaria derivante dal Patto di Roma consentirono una rapida ripresa dell’attività e si trovò da subito a fronteggiare problemi gravissimi. Da un verbale della Segreteria della Camera del lavoro di Firenze del 1° novembre 1944 sappiamo che già a quella data esistevano sindacati e/o Camere del lavoro in attività a Borgo S. Lorenzo, Prato, S. Casciano V.P., Figline e Pontassieve. Su queste Camere del lavoro (CdL) i componenti la segreteria di Firenze si apprestavano a compiere delle periodiche ispezioni per valutarne funzionamento ed organizzazione3
Dall’intervista agli ex segretari (Corsini, Vigiani, Ghiarini del dic. 2010) sappiamo che la segreteria unitaria nel 1945 era costituita da Vezio Cresci per la corrente cristiana, Ruggero Fiaschi per quella socialista e Radio Mattacchioni per quella comunista, quest’ultimo era il segretario generale della
CdL. Come detto i problemi che la CdL si trova ad affrontare, in questo primo periodo, sono immensi: dalla disoccupazione dovuta alle distruzioni causate dalla guerra dei pochi insediamenti produttivi di una certa importanza (officine ferroviarie, vetrerie, ecc.), alla scarsità dei generi alimentari dovute alle distruzioni belliche e alle razzie tedesche, dalle disastrose condizioni della viabilità e dei trasporti, alla carenza di alloggi per i danni al patrimonio edilizio, all’inflazione e al carovita galoppante, ecc.
Vennero ricostituite le leghe e i sindacati di categoria, dei lavoratori agricoli (braccianti e mezzadri) dei trasporti, degli alimentaristi, degli edili, dei chimici, dei vetrai, dei ceramisti e affini ecc. Tra i problemi più urgenti affrontati dal sindacato vi era sicuramente quello di riattivare il tessuto produttivo e attraverso i cantieri per la ricostruzione riassorbire una certa quota di disoccupati. I problemi economici generali insieme a quelli organizzativi della Camera del lavoro e dei sindacati in essa rappresentati sono i filoni su cui si sviluppa l’attività dei primi anni. La Camera del lavoro di Pontassieve nasce come una struttura mandamentale che coordina delle camere del lavoro comunali (Pelago, Sieci e per qualche tempo Rufina e Rignano) e le Leghe di alcune categorie sindacali a Molin del Piano, Montebonello, ecc. Bisogna inquadrare l’attività della nostra CdL nel contesto di quel che contemporaneamente accadeva a livello nazionale. Dal 28 gennaio al 1. febbraio 1945 si tenne a Napoli il primo Congresso delle organizzazioni sindacali della Cgil dell’Italia liberata che a quella data vedeva ancora tutto il nord Italia sotto la dittatura nazifascista.
Infatti è solo il 25 aprile 1945, giorno della liberazione, che tutto il territorio nazionale torna alla libertà. L’attività sindacale del rimanente scorcio del 1945 e il 1946 servono ad avviare a livello nazionale la discussione sui temi economici, sociali ed organizzativi che saranno affrontati nel primo Congresso nazionale unitario della Cgil che si terrà a Firenze dal 1. al 7 giugno 1947.
Le sezioni di Pontassieve e della zona circostante (Rufina, Pelago, Molin del Piano ecc.) per la composizione del tessuto produttivo, prevalentemente agricolo, non era particolarmente sviluppata. La crisi dell’industria della paglia aveva messo in profonda crisi il lavoro delle trecciaiole e la loro cooperativa era scomparsa da molto tempo. Le attività principali erano rimaste quelle della trasformazione dei prodotti agricoli e dei comparti produttivi ad essi collegati (vetrerie, funai, …) o a piccole attività artigianali (calzolai, sterratori, muratori, ecc.).
La tendenza generale degli iscritti della Camera del lavoro di Firenze è di un incremento dei tesserati dal 1904 al 1911 per poi stabilizzarsi fino allo scoppio della Prima guerra mondiale. Andamento simile si ha anche a livello locale. L’adesione diminuisce nei primi anni del conflitto mondiale (dal 1914 al 1916) mentre si assiste ad una ripresa, alla fine del conflitto, infatti per il 1918 c’è un incremento degli iscritti, sul 1916, di oltre il 60%. Indizio, questo, dei profondi guasti e del malessere grandissimo degli strati operai che congedati erano esposti al rincaro dei prezzi, alla disoccupazione o alla precarietà del lavoro e che quindi si associavano al sindacato per rivendicare
diritti più avanzati e migliori condizioni di vita.
La tragica pagina della Prima guerra mondiale aveva visto le limitazioni organizzative del sindacato in tutte le attività economiche e produttive di interesse militare, cioè pressocchè tutte le attività perché oltre a quelle che producevano direttamente le forniture belliche anche quelle con produzioni collaterali o che comunque servivano per l’approvvigionamento delle truppe erano sottoposte a restrizioni (dai forni, alle forniture tessili, dai mezzi di trasporto alle concerie, dalla carta al gas ecc..
Ma enormemente più gravi, rispetto alle perdite economiche, erano state le perdite in termini di vite umane. Oltre ai caduti vi era poi una consistente quota di invalidi bisognosi di cure e di un apposito sbocco occupazionale. Difficilissime comunque per quasi tutta la popolazione erano le condizioni economiche e sociali causate dalla disoccupazione. Questa era dovuta in buona parte alla cessazione delle commesse militari all’industria e agli altri settori produttivi, che erano alle prese con una difficile riconversione della produzione, da bellica a civile che spesso invece si risolveva con la chiusura delle attività economiche; Principalmente furono queste le cause del grande moto popolare di rivendicazioni che vanno sotto il nome di “biennio rosso”, 1918-1919.
Le rivendicazioni dei lavoratori e sopratutto le occupazioni delle fabbriche innescarono, nella parte più conservatrice e reazionaria del paese, una fortissima contrapposizione che presto sfociò in una deriva squadristica e paramilitare organizzata e gestita dal partito fascista. Questo partito, grazie alla tolleranza della monarchia, alla tacita connivenza e al sostegno economico di una parte della grande borghesia e dei latifondisti, si affermò e nel giro di pochi anni giunse ad instaurare una dittatura.
Infatti a partire dal 1926 vennero sciolti e messi al bando i partiti e le organizzazioni sociali democratiche e il regime fascista si identificò con lo “Stato”. La dittatura con le sue mire imperialistiche sfociò poi nel conflitto più sanguinoso di tutti i tempi, che va sotto il nome di seconda guerra mondiale, che alla fine determinò la sconfitta militare, politica e la caduta del nazismo e del fascismo che l’avevano scatenata.
La documentazione dell’attività della Camera del lavoro di Pontassieve, analogamente a tutte le altre strutture sindacali, dalla loro nascita alla instaurazione del fascismo è andata completamente perduta per il saccheggio e la distruzione delle sedi sindacali e politiche operata metodicamente dal regime fascista. Anche la documentazione dei sindacati fascisti è andata perduta (o per volontaria distruzione dei funzionari fascisti per nascondere comportamenti compromettenti o per le distruzioni belliche e qualche volta per una malintesa rivalsa di chi aveva patito le violenze fasciste).
I rapporti tra le componenti costitutive della Cgil (comunista, socialista, cattolica) cominciano a mostrare dei problemi che si accentrano sopratutto sulla stesura del nuovo statuto e sull’autonomia dai partiti politici. Il problema sarà acuito dalla divaricazione intervenuta tra i partiti politici e dalla scelta, a livello nazionale della Democrazia cristiana e dei suoi alleati, di estromettere dal Governo le forze di sinistra scelta determinata, in larga parte, dall’evoluzione geopolitica mondiale e dalla
contrapposizione tra blocchi.
L’epilogo della rottura dell’unità nel mondo sindacale avviene con gli scioperi e le manifestazioni che seguono l’attentato a Togliatti (luglio 1948), ritenuto illegittimo dalla componente cattolico democristiana che dopo alcune settimane fuoriesce dalla CGIL.
Anche a livello locale si consumano e si rispecchiano le evoluzioni determinate dal livello nazionale. La rottura dell’unità sindacale è un trauma che segna la storia sindacale fin oltre la metà degli anni sessanta quando le lotte del biennio 1968 e 1969 con la pressante richiesta di unità proveniente dalla base dei lavoratori, innescheranno la breve ed effimera stagione unitaria.
I primi anni settanta furono infatti caratterizzati da un fervore unitario che portò alla creazione di strutture territoriali e di categoria unitarie che operarono in maniera differenziata e con diversa convinzione. Il percorso che doveva portare allo scioglimento delle confederazioni (CGIL CISLUIL) per dar vita al sindacato unitario, non fu mai attuato compiutamente, e queste continuarono ad operare accanto alle strutture unitarie. Quando cominciarono a nascere differenziazioni di impostazione strategica tra le varie componenti sindacali le Confederazioni iniziarono ad esautorare le strutture unitarie fino al loro pratico svuotamento e superamento, che ebbe il suo apice con le differenti posizioni sindacali sul taglio degli scatti di scala mobile operati nel 1984 dal Governo Craxi.
Agli inizi degli anni ‘70, analogamente a quanto succedeva a livello nazionale, anche a Pontassieve vengono costituite le strutture territoriali del sindacato unitario. Unitariamente vengono impostate iniziative e varate piattaforme rivendicative sugli argomenti più sentiti del momento quali: la casa, la sanità, i trasporti, l’energia, la metanizzazione ecc.. Sotto questi buoni auspici nel luglio del 1972, si celebra il Congresso straordinario costitutivo del nuovo sindacato unitario. In seguito allo sviluppo dell’attività sindacale degli anni ’70 e all’istituzione delle Regioni a statuto ordinario l’organizzazione sindacale sente il bisogno di adeguare le proprie strutture ai mutamenti istituzionali. Assistiamo così, intorno alla metà degli anni ’70, alla nascita delle strutture sindacali regionali e successivamente (1977) all’istituzione dei comprensori. Queste strutture vengono create disaggregando le Province in zone omogenee, chiamate appunto “Comprensori”, a loro volta suddivisi in zone. Una prima ipotesi (1977) prevedeva per la CGIL Toscana la creazione di 224 comprensori ridotti poi a 14 (1980)5. Il varo del rinnovamento organizzativo unitario avviene dopo la Conferenza di Montesilvano del 5-7 novembre 1979 e formalmente avviene dopo la tornata Congressuale del 1981. Dal sindacato provinciale di Firenze viene scorporato il tutto il Comprensorio pratese e una parte del Comprensorio del Valdarno, formato con il concorso anche di
alcuni comuni della provincia di Arezzo.
La nuova organizzazione mostra dei limiti, acuiti dalla crisi economica e sociale e dalle prime avvisaglie di una minore rappresentatività sindacale, acuitasi dopo le vicende del taglio della scala mobile e la condivisione sindacale delle prime forme concertative di politica economica. Non tutti i Comprensori hanno un’attività duratura il comprensorio dell’Amiata è il primo a cessare di funzionare nel 1985, quello della Versilia giunge fino al 1994, gli unici che funzionano fino allo scioglimento dei comprensori (2002) e il ritorno alla suddivisione per province sono quelli di Piombino-Val di Cornia, quello del Valdarno, e quello Pratese. Quest’ultimo è l’unico che permane ancora oggi essendo stata nel frattempo istituita la provincia di Prato. I comprensori si articolano al loro interno in Zone Congressuali, con proprie strutture elette in appositi congressi di zona. Nel comprensorio fiorentino vi erano le zone: Empolese, Valdelsa, Mugello, Chianti, Val di Sieve e quelli di Firenze (Sud-est, Centro-nord) e dei comuni limitrofi (Scandicci-Le Signe, Sesto Campi Calenzano, ecc.).
Nel caso di Pontassieve sarà il Congresso del 1981 ad istituire la Zona Val di Sieve, trasformata successivamente in Zona Mugello-Val di Sieve, che sarà sciolta nel 2002 (come zona Congressuale) in concomitanza con la cessazione della suddivisione per Comprensori. Successivamente le ex Zone Congressuali fiorentine ritornano ad essere semplici articolazioni territoriali della Camera del lavoro di Firenze, che ne nomina i segretari, ma, in larga parte, questa digressione organizzativa esce fuori dagli estremi cronologici della documentazione del nostro archivio, che si ferma intorno alla metà degli anni ’80.
Subito dopo la seconda guerra mondiale, come accennato, il territorio era caratterizzato da un’economia prevalentemente rurale con una consolidata presenza dei contratti mezzadrili che vedevano intere famiglie lavorare – spesso da generazioni – nelle stesse fattorie. Dalla fine degli anni cinquanta si assiste alla nascita di un tessuto di piccole e medie industrie in vari settori merceologici che, in diversi casi, riescono ad ingrandirsi ed affermarsi economicamente. Accanto a produzioni tradizionali legate alla trasformazione dei prodotti agricoli (vetrerie, fiaschetterie, ecc.) e all’attività edilizia (fornaci, cementerie, ecc.) si imposero realtà appartenenti ad altri settori, come quelli della produzione metal-meccanica, chimica, dell’abbigliamento, della pelletteria ed altri
ancora.
Gli anni Sessanta rappresentano, anche a Pontassieve, un cambiamento profondo con lo spostamento di occupati da attività agricole ad attività industriali e commerciali determinando il noto fenomeno della ‘fuga dalle campagne’ – soprattutto dei giovani. Nel settore agricolo rimanevano soltanto le persone più anziane e a volte anche questi si trasformavano in operai addetti in attività industriali o artigianali che coltivavano qualche piccolo appezzamento di terra nel tempo libero e nei fine settimana.
Entra comunque in crisi la secolare conduzione a mezzadria che nelle aziende più grandi ed importanti si trasforma in conduzione agraria diretta con braccianti e salariati. Gli anni ’60 e parte dei ’70 grazie ad una congiuntura economica favorevole permise di assorbire facilmente la manodopera che abbandonava il lavoro agricolo nel settore industriale in rapida crescita economica specialmente in alcuni settori che si svilupparono nella zona (pelletteria, produzione di ceramica,
falegnameria, ecc.) e/o determinati in parte dall’inurbamento della popolazione che richiedendo nuove abitazioni determinò un abnorme sviluppo edilizio. Ma già dai primi anni ’70 la crescita economica rallentava per poi entrare in recessione sia per fenomeni nazionali (inflazione, carovita, ecc. ) sia per fattori internazionali (guerre, shock energetico, ecc.). Infatti in seguito alla guerra arabo israeliana del 1973, gli stati arabi produttori di petrolio si accordarono per un contingentamento nella produzione petrolifera per punire i paesi sostenitori di Israele. Questo determinò nei paesi importatori di energia, come il nostro, una grave crisi economico-politica per la difficoltà di approvvigionamento energetico e diede inizio ad una grave spirale inflazionistica determinato dai rincari petroliferi (il barile di greggio passo da circa 3 ad 11 dollari dell’epoca nel giro di pochissimo tempo). La crisi toccò anche il territorio di nostro interesse dove molte aziende (Petit Fashion, vetreria Del Vivo, Merlini, ecc.) decisero di ridurre drasticamente le loro attività,
determinando una grave crisi occupazionale.
Superata questa crisi diversificando il consumo energetico, riducendo gli sprechi ma sopratutto con la scoperta e l’entrata in produzione a livello internazionale di nuovi giacimenti petroliferi, l’economia si rimise in moto fino alla fine degli anni settanta quando la rivoluzione komeinista in Iran cacciò lo scià innescando una grave speculazione sul prezzo del petrolio che esplose con la seconda crisi energetica provocata stavolta dalla guerra interna al mondo arabo tra Iran e Irak che porto ad un triplicamento dei prezzi petroliferi. A seguito di tale guerra si ruppe il cartello dell’Opec in quanto l’Arabia Saudita ed altri importanti paesi produttori si impegnarono ad incrementare l’estrazione del greggio riportandone il prezzo a livelli economicamente sostenibili.
Per l’Italia il periodo che và dal 1969 ai primi anni ’80 è un periodo politicamente molto delicato in cui la parte della società più retriva cerca di contrastare con ogni mezzo la richiesta di maggior giustizia sociale che si leva dal mondo del lavoro. Dalla strage di Piazza Fontana agli attentati ai treni e alle stazioni (Bologna, Italicus, ecc..) a quelli aerei (Ustica) agli attacchi a pacifici comizi (Brescia) è un crescendo di attentati terroristici che si legano ad ambienti parafascisti (golpe Borghese, Ordine nuovo, Nar, ecc. ) o a servizi cosidetti “deviati” (Sid) ad organizzazioni eversive
(Rosa dei venti, Gladio, …) o a logge massoniche segrete (Loggia P 2, che includeva tra i suoi iscritti politici, militari, magistrati, industriali ecc. e anche l’attuale capo del Governo Berlusconi).
Specularmente si assiste a una risposta armata di tipo terroristico diretta contro imprenditori, giornalisti, docenti universitari, funzionari di polizia e personalità politiche provenienti da ambienti dell’estrema sinistra (Brigate Rosse, Nap, ecc.) che culminano con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.
L’instabilità politica (crisi del Centrosinistra, e della DC poi) danno l’avvio a compagini governative fragili che da una parte fanno lievitare il debito pubblico in maniera spropositata e dall’altra impongono misure di austerità dirette a comprimere nuovamente i diritti economici e normativi dei lavoratori (taglio della scala mobile, congelamento degli aumenti contrattuali ecc.)
Il periodo che va dalla fine degli anni ’70 fino alla metà degli anni ’80 è segnato da ricorrenti crisi economiche e sociali che specialmente per alcune lavorazioni ad alto consumo energetico segnano periodi di riconversione produttiva che spesso si concludono con la chiusura delle unità produttive.
Nella nostra zona il classico esempio è quello del gruppo vetrario della Del Vivo che entra in una crisi irreversibile che porterà sia alla chiusura dello stabilimento di Pontassieve che di quello empolese, nonostante le lotte significative dei lavoratori e l’impegno del sindacato e delle istituzioni locali per cercare di salvare le unità produttive.

Complessi archivistici

Compilatori

  • Prima redazione: Stefano Bartolini (direttore FVL)