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Inventario dell'archivio del Sindacato dei pittori e scultori di Firenze | Archivio Lavoro Toscana

Inventario dell'archivio del Sindacato dei pittori e scultori di Firenze (1926 - 1956)

Archivio

128 unità archivistiche collegate (totale del complesso)

L'archivio qui presentato si compone di due fondi: l'archivio del Sindacato arti figurative di Firenze, che dal 1948 prende il nome di Sezione provinciale e regionale del Sindacato nazionale artisti pittori e scultori (poi Sindacato nazionale artisti pittori scultori grafici e scenografi) aderente alla CGIL, e l'archivio, ad esso precedente, ma di fatto qualificabile come "aggregato", del corrispondente Sindacato fascista.
La definizione di "archivi" per questi due complessi documentari può apparire impropria quando si guardi alla scarsa consistenza complessiva (4 buste). Non si tratta, inoltre, di archivi completi o virtualmente tali. Il primo dei fondi citati comprende un gruppo di documenti riferibili agli anni dal 1947 al 1956 - non abbraccia quindi l'intero arco cronologico della vita dell'organizzazione, durata fino ai tardi anni '60 - e il secondo soltanto un frammento della serie dei fascicoli personali (lettere C-D, con uno sconfinamento nella L).
Il primo fondo ha tuttavia una certa completezza per quanto riguarda la vita amministrativa del Sindacato, costituendo la sua corrispondenza "ufficiale", e inoltre si presenta ancora legato (tramite la presenza presso il Centro di documentazione della CGIL regionale) all'ente che originariamente lo ha prodotto.
Tale fondo non esaurisce la documentazione conosciuta di questo Sindacato. Molti atti (il termine "molti" è comunque relativo alla sua limitata consistenza) sono conservati nel fondo Lucio Venna della Fondazione Primo Conti (d'ora in poi: Fondo Venna). La collocazione di questi ultimi documenti non è fortuita, giacché, come vedremo, Lucio Venna - nome d'arte di Gius eppe Landsmann - fu il segretario che accompagnò il Sindacato pittori e scultori per una buona parte del breve arco cronologico di esistenza. Negli anni successivi alla segreteria Venna il sindacato perse gran parte della sua importanza e la documentazione ad esso relativa cessò di esistere come nucleo indipendente trovando collocazione in alcuni fascicoli della corrispondenza generale della Camera confederale del lavoro di Firenze.
Lucio Venna aveva complessivamente una buona coscienza archivistica ed era molto scrupoloso nel conservare la documentazione prodotta dal sindacato come pure quella ad esso pervenuta. Tuttavia, come ogni persona che ricopra una carica organizzativa, riceveva anche personalmente una certa quantità di corrispondenza che riguardava più o meno direttamente il Sindacato; probabilmente aveva anche l'abitudine, assolutamente comune, di "portarsi a casa" del lavoro da svolgere per il Sindacato stesso. Poiché egli era non tanto un sindacalista ma soprattutto un artista, ed intratteneva molta corrispondenza privata, è avvenuto che parecchie carte del Sindacato sono rimaste confuse con questa.
Per comprendere le ragioni della non integrale e unitaria conservazione di queste carte, dobbiamo anche tenere presente il clima di sospetto e di paura per una repentina involuzione autoritaria nella politica italiana, che ha fatto sì che gran parte della documentazione della Sinistra (leggi archivi del PCI e degli stessi sindacati della CGIL) almeno fino agli anni '55- 60 andasse perduta a causa di un volontario occultamento, spesso poi sfociato in dispersioni o distruzioni.
La documentazione del Fondo Venna, rispetto a quella rimasta presso il Sindacato, è disorganica e, al momento attuale, in completo disordine; pure documenta in modo essenziale i mo menti della nascita e soprattutto del declino del Sindacato pittori e scultori grazie alla conservazione di importanti lettere tra il Venna e il segretario nazionale Mario Penelope attorno agli anni 1952-1954.
L'archivio del Sindacato pittori e scultori presenta una certa articolazione di serie che permette una sua almeno ipotetica ricostruzione, come pure una valutazione del grado di dispersione avvenuto nella tradizione dei suoi documenti, giacché, confrontando le carte rimaste e i relativi protocolli si ha la certezza che non tutto si è conservato. E tali perdite devono ritenersi assolute, in quanto, come ho detto, il Fondo Venna non contiene che pochissime carte sull'amministrazione del Sindacato. Particolarmente grave appare la sparizione pressoché totale degli atti degli organi direttivi. Rimangono infatti solo pochi frammenti di deliberazioni. L'archivio della Camera confederale del lavoro non ci aiuta minimamente in quanto inizia praticamente dopo gli anni Cinquanta e le poche carte precedenti, oggetto di fortunosi ritrovamenti e completamente disarticolate, riguardano aspetti ben più importanti per il Sindacato dell'organizzazione degli artisti che fu, numericamente, sempre assolutamente minoritaria.
Ho già accennato alla consistenza del fondo del Sindacato fascista. In questo caso i motivi della perdita quasi completa vanno ricercati probabilmente nel disinteresse, venato di furia distruttiva, verso le carte del soppresso regime. Anche in questo caso giocava la ridotta consistenza e l'organizzazione archivistica, molto povera e sommaria: se da un lato esistevano indubbiamente i protocolli (forse organizzati non a livello di singolo sindacato ma di unione provinciale), dall' altro non si conservavano che poche minute e per molti provvedimenti è stata mantenuta agli atti solo una strisciolina di carta col riassunto del loro contenuto. D'altra parte la documentazione della maggioranza dei sindacati e delle corporazioni fasciste è andata perduta. Perché questo fondo si è parzialmente conservato? Forse per buona volontà, forse per un qualche interesse, al momento non spiegabile, dei dirigenti del Sindacato. Forse anche in ciò ebbe parte Lucio Venna, segretario e principale organizzatore del sindacato nella CGIL, che era membro influente del Sindacato fascista. Se il suo nome non compare mai nella scarsa corrispondenza ufficiale, alcune domande di iscrizione andate a buon fine recano una sua nota affermativa.
Passando ora dalla sommaria valutazione degli archivi agli enti produttori, vediamo che qualche problema pone anche la esatta collocazione cronologica della vita dei due Sindacati: esaminando prima quello fascista (che precede cronologicamente), esso ebbe un'organizzazione nell'ambito delle norme corporative a partire dal 1926, quando fu emanato il RD 1.7.1926 n. 1130 (che costituisce il regolamento della L 5.4.1926 n. 565) la cui attuazione si esplicita col riconoscimento delle associazioni professionali e la loro riunione in confederazioni. In riferimento a queste norme nasce il Sindacato fiorentino delle arti del disegno le cui prime domande d'iscrizione che ci sono pervenute rimontano a quell'anno. La definitiva attuazione dell'ordinamento corporativo viene però rimandata al 1934 (L 5.2. 1934 n. 163). Ma già prima, seguendo le intitolazioni che compaiono sulle domande di iscrizione, si notano dei cambiamenti nella denominazione del Sindacato. In documenti del 1929 compare il Sindacato fascista toscano belle arti, articolato in uffici provinciali, mentre le Unioni provinciali dipendenti dalle Confederazioni dei professionisti e degli artisti iniziano dopo il 1934.
Incerta è però soprattutto la cronologia della fine del Sindacato fascista. La data di cessazione è più certa se la si collega alle disposizioni normative ma rimane vittima della rimozione documentaria sul piano dei concreti avvenimenti.
Sul piano normativo il RDL 9.8.1943 n. 721 abolì gli organi corporativi e pose sotto gestione commissariale le associazioni professionali fasciste. Il DLt 23.11.1944 n. 369 confermò lo scioglimento dei sindacati fascisti che vennero posti in liquidazione. Nel caso del sindacato degli artisti di Firenze (e sarebbe utile avere conferme di situazioni analoghe) i beni mobili esistenti presso la sede sindacale gli vennero attribuiti provvisoriamente nel 1948. Rimane agli atti una corrispondenza relativamente fitta tra il Sindacato stesso e la liquidazione della Confederazione dei professionisti e artisti di Roma che nomina il primo detentore dei beni del sindacato fascista fiorentino. Tali beni consistevano essenzia lmente in opere d'arte probabilmente pervenute in dono da artisti associati anche ad altre unioni provinciali e in una macchina da scrivere. La cessione in uso è ufficializzata con un verbale di consegna e un elenco delle opere e dei materiali diversi esistenti presso la sede. Le opere verranno poi richieste al Sindacato quando si porrà la necessità per la citata Confederazione di realizzare il controvalore. Ciò avverrà soltanto negli anni 1966-1967, quando già una parte delle opere d'arte era perduta anche per le conseguenze dell'alluvione del novembre 1966 sulla sede della Camera del lavoro, ubicata, com'è noto, in Borgo dei Greci nel quartiere di S. Croce, colpito in modo particolarmente serio.
Passando al Sindacato arti figurative di Firenze, esso si costituisce per la necessità di continuare a mantenere associata una categoria che aveva conosciuto, durante il periodo fascista, dei notevoli vantaggi derivanti dalla sua esistenza come associazione sindacal- professionale. Il principale era rappresentato dalle conseguenze pratiche del principio affermato dalla L 1162/1929 la quale obbligava ogni ente che dovesse costituire una giuria artistica ad includervi dei rappresentanti sindacali (uno su cinque membri o due su sette). La relativa prassi, che risulta documentata in qualche lettera del Sindacato fascista conservata nel Fondo Venna e nel Fondo Primo Conti, costituisce con ogni evidenza uno dei collanti del Sindacato anche durante la associazione alla CGIL. Vasta è l'opera del segretario Venna volta proprio ad ottenere che la rappresentanza del Sindacato toscano fosse accettata in tutte le mostre alle quali partecipavano artisti toscani. Non c'è mai però un esplicito riferimento alla norma fascista, che potrebbe aver seguito le sorti del sistema corporativo dopo l'abrogazione. Importante su tale linea è il discorso programmatico di Venna al Consiglio direttivo [1948?] del Sindacato pittori e scultori.
Certamente vi erano anche altri vantaggi: innanzitutto quelli ideali di adesione a forze che si proponevano come portatrici di rinnovamento; il fatto stesso di associarsi dava inoltre sicurezza agli artisti e soprattutto a quelli tra loro che esercitavano l'artigianato artistico più che l'arte creativa. Aderire al Sindacato era importante anche per coloro che vivevano in provincia, che così potevano essere informati sulle mostre, sui concorsi, sulle altre iniziative e sfuggire alla ristrettezza di un ambiente (e di un mercato) culturale esclusivamente locale. Il Sindacato pittori e scultori, poi, aveva anche comp iti solidaristici e sono documentati suoi interventi in tal senso (prestiti, interessamento presso uffici di assistenza, tentativi di costituzione di fondi pensionistici, ecc.).
L' associazionismo degli artisti era in qualche modo connesso anche ad alcuni provvedimenti normativi (a loro volta eredi dell'attività svolta anche dai sindacati fascisti) di tutela della categoria, come l'obbligo di versare il 2 per cento dell'importo delle opere vendute in mostre d'arte (L 7.11.1943 n. 1669) e il 5 per cento del provento della tassa d'ingresso nelle raccolte statali (art. 3 del DLlt 12.10.1945 n. 781) alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza per i pittori, scultori e incisori. Aumentava il prestigio degli artisti e faceva sorgere la necessità di controllare le risorse che venivano messe a disposizione anche il contenuto della cosiddetta "legge del 2 per cento" (L 29.7.1949 n. 717). Con questa norma, che fu vivacemente dibattuta e fortemente voluta dagli artisti, si faceva obbligo di riservare ad opere d'arte il 2 per cento della spesa di costruzione o ricostruzione di edifici pubblici, con eccezione per quelli destinati all'industria e alla edilizia popolare. Ove i progetti non prevedessero il decoro artistico, le opere potevano identificarsi con beni mobili da acquistarsi successivamente. In sostanza sembrava che questa legge potesse assicurare la sopravvivenza di un ampio ceto di persone dedite all' arte e all' artigianato artistico. Le speranze evocate da questa norma, però, furono di breve durata e la loro crisi provocò, indirettamente, anche la crisi dell'associazionismo degli artisti: questi ultimi non potevano che togliere fiducia agli organismi sindacali che avevano sì caldeggiato l'approvazione della legge ma che non avevano saputo garantirne l'applicazione. Come nota infatti Carlo Leoni "La legge ha però avuto ben scarse applicazioni; e a disapplicarla sono state per prime le amministrazioni dello Stato, nonostante le reiterate critiche mosse loro dalla stampa ed in Parlamento e le varie circolari diramate in proposito”. E i pochi casi nei quali la legge veniva applicata vedevano spesso (come è in qualche caso documentato anche dalle carte del Sindacato pittori e scultori) delle distorsioni di applicazione miranti a favorire i pochi "noti" o comunque ad addomesticare i concorsi col sistema dell'invito diretto.
Non mi è riuscito di rinvenire alcuna notizia diretta sulla data precisa di costituzione del Sindacato pittori e scultori di Firenze. Comunque il Sindacato nazionale fu costituito tra il 20 e il 22 novembre 1947 e il Sindacato fiorentino degli artisti qualche giorno dopo, forse il 29 novembre.
Seguire la vita del Sindacato non è facile perché è andata perduta quasi tutta la documentazione degli organi sociali. Un indicatore può essere, oltre allo sviluppo della corrispondenza, il confronto tra le varie edizioni dell'Annuario artisti toscani, che il Sindacato cominciò a pubblicare nel 1949 e del quale si succedettero edizioni annuali e biennali fino al 1954-55. Tale repertorio mostra, col passare degli anni, un indiscutibile incremento numerico e un arricchimento della veste tipografica e della pubblicità. Ma tale indicatore si rivela fallace: una lettera del Venna al segretario nazionale Mario Penelope ci informa su una profonda crisi in atto già nel 1952, anno nel quale viene pubblicata una edizione dell'Annuario particolarmente ricca: "Il Sindacato di Firenze è ridotto ad una parvenza senza sostanza. I compagni hanno tutti disertato chi per una ragione chi per un'altra, questioni di carattere personale si intrecciano con ragioni di tendenza. La lotta che la critica ufficiale ci fa è la causa di tutto e dato che a tutto questo il Sindacato non può opporre nulla di efficace ognuno trova più comodo di disertare. Ho una 45ina di iscritti ma sono per la maggioranza elementi di nessuna importanza. Le riunioni di Federazione vengono regolarmente disertate qualunque sia l'argomento da trattare. In questa situazione ho sempre dovuto rinviare una riunione o una assemblea per non scoprire le carte. Ma ora mi è oltre impossibile, farò in questi giorni la riunione per la nomina del nuovo comitato direttivo e poi qualche cosa succederà”.
E pochi mesi prima, ad una riunione dell'Esecutivo nazionale, lo stesso aveva dichiarato, a proposito della situazione toscana: " Scissioni: politiche solo in secondo luogo, l'origine è nel settarismo artistico. E' proprio nei sindacati minori aderenti alla CISL ed alla Federazione Autonoma che viene l'ingerenza di partiti in senso restrittivo..."
È accertato che l'Annuario nelle ultime edizioni non è più un elenco degli artisti appartenenti al Sindacato e la necessità di inserire molta pubblicità rivela la scarsità di finanziamenti interni e comunque la difficilissima riscossione delle quote sociali.
Ma i passi citati ci illuminano anche sul quadro politico-culturale nel quale avviene la crisi del Sindacato degli artisti, situazione che vede un relativo isolamento della sinistra e il nascere di nuove associazioni nell'ambito di altri sindacati o movimenti politici.
Anche se lo Statuto sindacale si richiamava alla apartiticità (invero assai teorica in quegli anni), già agli albori del Sindacato pittori e scultori si erano avute scissioni e prese di posizione, soprattutto nelle regioni venete, per rendere le associazioni degli artisti completamente indipendenti da qualsiasi connotazione politica; non è possibile, data la scarsezza di fonti, valutare quanto tale indipendentismo fosse collegato con le scissioni nell' ambito dei sindacati generali e il differenziarsi della CISL e della UIL (il che è abbastanza probabile) e quanto con motivi di esclusivo carattere ideale e di insofferenza degli artisti per la inclusione nelle organizzazioni di massa. Attorno al 1952 il problema si amplia e si assiste da un lato al nascere di una spinta alla ricostituzione di un sindacato unitario tramite la convergenza del Sindacato della CGIL, di quello della CISL e di quello autonomo e dall'altro a tendenze verso la creazione di un movimento schiettamente professionale, non legato alle confederazioni sindacali.
In una circolare ai sindacati provinciali, così si esprimeva Mario Penelope il 9 giugno del 1952: “constatato l'orientamento sempre più diffuso fra la maggioranza degli artisti verso la costituzione di una organizzazione unitaria che abbia la forza e i mezzi per tutelare sul piano nazionale gli interessi comuni di tutti gli artisti italiani, l'Esecutivo [...] ha riconfermato la necessità [...] di convocare un Congresso nazionale degli artisti italiani [... che] dovrebbe sondare anche la possibilità di costituire un'Organizzazione Nazionale Unitaria [...] non oltre la fine del prossimo settembre"
E nel dicembre la stessa segreteria nazionale trasmetteva ai segretari periferici, in vista del congresso, le risoluzioni della SIPS (aderente alla CISL), del Sindacato autonomo artisti e del SA (aderente alla UIL), perché fossero esaminate e discusse. Anche nell'anno successivo si continua a lavorare attorno all'ipotesi di una Costituente degli artisti, che tuttavia non pare avere avuto luogo (vedi oltre).
Questa situazione di incertezza è riflesso certamente anche di un indirizzo generale della cultura in questo momento, della quale è espressione l'esclusione dei rappresentanti sindacali degli artisti dalla Biennale di Venezia, in merito alla quale si crea una grossa vertenza ampiamente riflessa dalle carte del Fondo Venna nonché, per Firenze, l'atteggiamento della giunta La Pira che toglie il suo appoggio alle mostre di arte moderna. Secondo quanto sarebbe stato dichiarato dallo stesso La Pira, a Firenze non si dovevano fare mostre di arte moderna ma di antica e invece agli artisti andavano affidate opere di pubblico decoro cittadino.
Non abbiamo altre notizie sul declino del Sindacato artistico di Firenze, che dovette comunque sopravvivere come tale almeno fino al l964. Contemporaneamente esisteva la Federazione nazionale degli artisti (che ancora nel 1964 stava preparando il famoso Congresso degli artisti italiani) e qualche sindacato locale, come il Comitato regionale della Liguria che nel 1967 apre una galleria sindacale a La Spezia.
In una lettera del 1967 il Venna scriveva a Giulio Tognetti, capo ufficio stralcio della Confederazione dei professionisti e artisti in liquidazione (ancora attiva!) a Roma: "Desidero chiarire che non rappresento il Sindacato RPS di Firenze da circa dieci anni [...] Firenze è stata alluvionata e la sede del Sindacato [...] gravemente devastata. Per questo evento 120 artisti circa hanno perduto in pratica tutti i loro beni e il Sindacato è ancora dedicato al soccorso e all'aiuto di detti artisti aiutato dalla Federazione [...]”.
Questo Sindacato, però, non era più quello organizzato dal Venna, bensì un Comitato intersindacale artisti fiorentini, con sede sempre in Borgo dei Greci presso la Camera del lavoro e collegato alla Federazione nazionale artisti aderenti alla CGIL. Di questo comitato sono riuscito a rintracciare un solo documento, di scarsa importanza, nell'archivio della Camera del lavoro. Ho però potuto incontrare Antonio Armidelli che fu suo segretario provinciale (e organizzatore nazionale) almeno tra il 1966 e il 1968. Egli mi ha confermato le affermazioni del Venna sull'aiuto agli artisti nel periodo dell'alluvione, quando il comitato, finanziandosi con mostre-vendite e con aiuti provenienti da enti artistici americani, riuscì ad elargire agli associati che avevano perso opere e materiali delle somme non simboliche. Gli artisti aderenti alla CGIL ebbero, intorno al '68-'69, un congresso a Roma durante il quale venne posta duramente la questione della gestione del famoso 2 per cento, sempre di più soggetta a utilizzazioni clientelari. Tuttavia l'ordine del giorno vincente non raccolse la protesta, che pure doveva avere una certa ampiezza, contro un tale stato di cose. Si determinò probabilmente un clima di incertezza e di insoddisfazione che portò l'organizzazione fiorentina alla chiusura, anche se non sappiamo esattamente quando ciò avvenne.
A Firenze, comunque, verso il 1960 era nata l'Associazione degli artisti toscani che raggruppava molti degli aderenti al vecchio Sindacato e che ne ricalcava la struttura organizzativa. Il Venna non ne faceva parte in un primo momento per motivi di salute. Della sua creazione Angiolo Maria Landi informava Mario Penelope nel marzo del 1958: "Ho il piacere di comunicare anche a Lei che finalmente siamo riusciti a costituire una associazione regionale degli artisti presieduta dal pittore Ugo Capocchini".
L'associazione era rigorosamente indipendente: "Naturalmente la condizione posta da molti iscritti è l'assoluta indipendenza dalle esistenti [...]confederazioni sindacali”. Il Venna idealmente aderiva all' associazione e la difendeva agli occhi di Mario Penelope rilevando come in sostanza la CGIL non avesse mai fatto il gioco degli artisti: “Tanto la nostra federazione che il partito non hanno assistito i nostri guai che ci minacciavano con la loro unilaterialità di giudizion e di appoggio a vantaggio di certi elementi legati più al giro politico che alle ragioni dell’arte.”
Dell'Associazione abbiamo uno statuto modificato del 1960, allegato ad una lettera del presidente al Venna. La struttura ricalca, come detto, quella del Sindacato pittori e scultori, con qualche modifica. Nel Sindacato l'organo esecutivo aveva il nome di Consiglio direttivo, che era eletto dall'assemblea. L'organo di rappresentanza era la Segreteria. Nell'Associazione gli organi esecutivi sono due: la Giunta esecutiva che esaminava le domande di iscrizione e il Consiglio direttivo, il cui presidente era il presidente dell'associazione, che in pratica svolgeva le funzioni che erano state del segretario del Sindacato. L'organo di base era sempre l'assemblea dei soci; esistevano poi i sindaci e i probiviri. Firmatari della modifica statutaria sono vari artisti, tra i quali manca il Venna, che però è membro del Consiglio direttivo nel 1959. Ritengo che questa associazione rappresenti, almeno nel suo nascere, l'effettiva continuazione del sindacato; purtroppo non sono riuscito a rintracciarne la documentazione.

Nota dell'archivista:

Qualche parola anche sulla struttura dell'inventario. Trattandosi di un fondo esiguo e al tempo stesso relativamente antico (se si guarda ovviamente a questo tipo di documentazione che, come si è detto, è pressoché perduto per gli anni anteriori al '50), ho scelto di compiere una rilevazione analitica a livello di singolo documento riportandone in modo essenziale ma completo ogni suo elemento (autore, destinatario, oggetto, data topica e cronica, consistenza, allegati). Ho scelto di indicare la data dei documenti secondo il sistema corrente perché mi è sembrato che ciò aumentasse la leggibilità dell'inventano e anche perché, per la maggior parte dei documenti, erano presenti tutti e tre gli elementi cronici. La tipologia materiale degli atti viene indicata in modo complessivo; nella descrizione si evidenziano solo i documenti manoscritti.
Ho annotato il numero di protocollo accanto alla data cronica solo se apparteneva al Sindacato; l'ho riportato anche nel corpo della descrizione quando riferibile alla Camera del Lavoro. La numerazione attribuita alle unità archivistiche è indipendente per buste e fascicoli; la numerazione di questi ultimi è unica per ciascuno dei due archivi qui descritti.
Poiché la corrispondenza è protocollata solo saltuariamente e lo stesso numero è utilizzato sia per l'arrivo che per la partenza, solo raramente ho potuto avvalermi del numero di protocollo per l'ordinamento delle carte; negli altri casi le ho semplicemente giustapposte in base alla data esplicita. Anche se ciò costituisce una falsificazione, non vedo quale altro criterio sia applicabile in tali casi, dato che i documenti per i quali si può stabilire per altre vie un ordine, almeno ipotetico, di arrivo e di partenza, sono una esigua minoranza.
Ho poi deciso di affiancare alla descrizione, che per quanto riguarda il contenuto non può, per forza di cose, che essere riassuntiva, degli spogli che permettessero di evidenziare anche aspetti rimasti "muti" nella descrizione stessa. Ritengo che gli spogli, che non sono qualificabili come indici in quanto non sono condotti sul testo dell'inventario, ma su quello degli atti, siano la sola via autenticamente scientifica per fornire una descrizione del contenuto dei documenti; essi sono cioè uno strumento relativamente oggettivo, anche se la scelta degli elementi da indicizzare è sempre parzialmente soggettiva a meno che non sia condotta con sistemi automatici e predefiniti quanto a struttura. La predefinizione, tuttavia, non può identificarsi con una scelta di categorie ma solo di elementi lessicali di una certa lunghezza o di una certa funzione grammaticale. Sono strumenti già in uso nella definizione degli abstract bibliografici che potrebbero svolgere una importante funzione anche nel campo archivistico. Ritengo infatti che l'esigenza di ricerche basate sul contenuto oltre che sull'appartenenza istituzionale del documento (la sola che sia garantita dal tradizionale inventano archivistico) non possa essere ignorata..
Naturalmente i miei modesti spogli non seguono queste regole scientifiche che è più facile affermare che mettere in pratica, ma penso possano rivestire ugualmente una loro utilità, se non altro come proposta da discutere e approfondire. ciclostil. Gli spogli rilevano i nomi di persona, le indicazioni relative alle professionalità artistiche (es. pittore, scultore, affreschista, ecc.), i nomi geografici, le cose notevoli; per le loro particolarità si veda la relativa Avvertenza.

Lingua della documentazione:

  • Italiano

Condizione di accesso: accessibile previa autorizzazione

Condizione di riproduzione: consentita per uso studio

Stato di conservazione: buono

Soggetti conservatori

Soggetti produttori

Compilatori

  • Prima redazione: Renato Delfiol (Archivista ispettore onorario)
  • Inserimento dati: Leila Harkat (Civilista) - Data intervento: 23 giugno 2022
  • Revisione: Stefano Bartolini (direttore FVL)